Per gli amanti della pasta fresca ecco un (gustoso) itinerario che vi porterà a scoprire alcune delle deliziose creazioni per cui sono famosi reggiani, parmigiani e piacentini. Un solo consiglio: prima di affrontare questo tour è meglio mantenersi leggeri.

Partendo da Reggio Emilia, il primo incontro è con i tortelli verdi reggiani. Il loro ripieno (o pesto) è composto da un impasto a base di spinaci, bietola lessata, ricotta, lardo, aglio, prezzemolo, noce moscata e l’immancabile Parmigiano Reggiano. Solitamente vengono conditi con burro e salvia o con soffritto e la tradizione prevede che vengano preparati per la cena della vigilia di Natale. Risalenti al Basso Medioevo, sono nati probabilmente nelle cucine contadine, visto la facilità di reperimento degli ingredienti, anche se riservati solo ai pranzi domenicali.

I reggiani vanno molto fieri pure per la ricetta dei cappelletti, o caplét come si dice in dialetto. Il ripieno è tradizionalmente composto di solo stracotto di manzo, anche se con il passare degli anni questa farcitura è stata arricchita da altri tipi di carne: maiale, pollo e mortadella. Vanno cotti nel brodo e, in certe zone della bassa, qualcuno vi aggiunge un goccio di Lambrusco. È nel XVI secolo che la preparazione dei cappelletti, cosi come la maggior parte delle paste ripiene, vede la sua nascita ufficiale.

La seconda tappa del tortello tour è Parma, dove sono tipici gli anolini, detti anche anolén (in dialetto parmigiano) e cappelletti (pur differendo nella forma e nel ripieno dai cappelletti reggiani). Serviti con brodo bollente, hanno la forma di un dischetto, che si ottiene con un apposito stampo, il bossolo, un tempo di legno e oggi in metallo. Il ripieno può essere di due tipi: quello di tradizione “povera”, a base di pangrattato scottato nel brodo e abbondante Parmigiano Reggiano; e quello di tradizione “ricca”, a cui si aggiunge lo stracotto di carne. Rappresentano la tradizionale apertura dei pranzi di Natale e Capodanno. Compaiono nel XII secolo ma bisogna aspettare il XVI secolo perché il piatto venga riproposto sulle mense dei re e dei papi.

Sempre a Parma sono da provare i tortelli di erbette (tordej d’arbetti). A base di bietole verdi o spinaci, ricotta, uova e Parmigiano Reggiano, sono molto simili ai tortelli verdi reggiani. Da quest’ultimi si differenziano per la proporzione tra ricotta/erbette: nel parmense deve essere a favore della ricotta mentre nel reggiano prevalgono le erbette. Sono gustati tradizionalmente la sera del 23 giugno, vigilia di San Giovanni Battista. Anche i tortelli di erbette parmigiani risalgono al Basso Medioevo.

Infine, l’ultima tappa è Piacenza. Qui è d’obbligo assaggiare i tortelli con la coda (in dialetto turteil cun la cuà). Sono molto simili agli altri tortelli emiliani, da cui si differenziano per la maggior quantità di ricotta e formaggio nel ripieno, per l’estrema sottigliezza della pasta e soprattutto per le due code intrecciate che li caratterizzano visivamente. Vengono tradizionalmente serviti con burro e salvia oppure con sugo ai funghi. La loro origine risale al XIV secolo, quando un cuoco che operava alla corte viscontea del Castello di Vigolzone realizzò questi fagottini di pasta ripiena in onore di un ospite molto illustre: Francesco Petrarca.

Anche a Piacenza sono diffusi gli anolini (chiamati in dialetto “anvein”), che si distinguono da altri prodotti analoghi per la presenza nel ripieno della sola carne di manzo, preferibilmente la sottocoscia, cucinata come stracotto alla piacentina. Si servono abitualmente con brodo, detto di terza (cioè fatto con cappone, costine di maiale e pernice di manzo); qualcuno arricchisce il brodo con un po’ di vino rosso facendo il “surbì”. È il classico piatto consumato nel periodo natalizio o nei giorni di festa.

Foto © Travel Emilia Romagna

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